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FOUR WONDERFUL LAKES

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LUINO E PIERO CHIARA, UN BAR E LO SCRITTORE

2023-03-26 14:52

MARIANO SCARDINO

Culture,

LUINO E PIERO CHIARA, UN BAR E LO SCRITTORE

SUOI I RITRATTI PIU' IRONICI SUI VIZI E LE VIRTU’ DELLA PROVINCIA.

 

 

 

Centotredici anni fa nasceva lo scrittore Piero Chiara. Rileggerlo oggi  fa capire quanto sia importante  in una società come la nostra, abituata a guardare sempre le stesse cose con beffarda indifferenza, dall’angolino social facebookiano, allenare l’occhio a vedere le differenti sfumature dell’essere umano. 

 

Quando Chiara passò dalla documentazione - era anche giornalista - a essere scrittore e sceneggiatore, in tarda età - diventò egli stesso strumento cardine narrativo tramite il quale creava storie, discorsi e cristallizzava immaginari. 

 

Trascorreva intere giornate al Bar Clerici di Luino, sul Lago Maggiore, lo definiva il suo ufficio. Traeva ispirazione da storie vere raccontate e ascoltate da chi prendeva un caffè o giocava a carte. La gente del bar! Quante realtà possono incontrarsi in un bar, quante storie possono prendere forma, quante leggende animarsi di vita. 

 

Forse non è più così, ma allora al bar, fra una bevuta e l’altra,  ci si consolava per l’amore perso, la fiducia tradita riposta negli altri e in se stessi. Al bar, un uomo, tornava sempre per l’ultima bevuta, prima del rientro a casa o per andare dall’amante a consolarsi di chissacchè. Al bar si incontravano mille tifoserie di altrettante mille squadre di calcio. Si incrociava quel tizio che votava per uno e tanti altri partiti politici, perché hanno tutti ragione e nessuno mai torto. E forse è proprio lui -  direbbe lo scrittore - che pur indossando mille maschere, risulta l’unica persona vera in quel Caffè, a chiacchierare di politica fra un cappuccino bollente e un leggero aperitivo .

 

Da questo luogo privilegiato, punto di osservazione costante, lo scrittore - sceneggiatore scrutava le persone e il mondo di provincia e a proposito di Luino lui stesso dirà: 

“E’ la provincia di tutto il mondo, dove tutto viene in luce, dove tu puoi sapere com’è fatto un uomo perché tutti sono sotto gli occhi di tutti…io lavoro dal vero”.  

Era nato sulla riva lombarda del Lago Maggiore Piero Chiara, a Luino, il 23 marzo del 1913.  Aveva vissuto a Milano, Nizza, Parigi. Una vita tra caffè e sale da gioco. Un comportamento irrequieto e indisciplinato fin dalle elementari tanto che fu persino capace di farsi bocciare in terza. Un’adolescenza alla Baudelaire, Verlaine, Rimbaud,  alcuni dei suoi autori preferiti. Ma solo sul suo amato lago e a Luino si fermava a osservare quieto, sornione, ironico e beffardo il suo mondo, la provincia.

 

Quell’ambiente e quelle persone che seppe descrivere nei loro vizi, nei loro difetti mai stigmatizzati e nelle virtù sempre ironicamente ed eroicamente idealizzate.

 

 La necessità dello scrittore era quella di registrare la realtà e la spontaneità della gente, nel bene e nel male, frutti di una società di provincia in cui la rappresentazione di noi come tali, è all’ordine del giorno. 

 

Persone “normali” in cui l’imperfezione dei caratteri e dell’anima veniva esaltata, in cui l’unicità risiede nella propria personalità e nella decisione di essere (comunque sia, e si è) sempre e soltanto se stessi. 

 

Riusciva a far essere i suoi personaggi sinceri, a metterli a nudo, avvicinandoli alla loro vera essenza, a non farli nascondere, e nelle sue pagine ci riusciva come pochi. Fu ammirato, stimato e amato da registi come Luciano Salce, Dino Risi, Mario Monicelli, Alberto Lattuada che hanno cercato e trovato in lui le storie più belle alle quali ispirarsi, da raccontare nei loro film. 

 

“La banca di Monate” fu girato ad Omegna: intrighi, corruzione, sesso, adulterio in un landa sperduta come Monate. “Il cappotto di Astrakan” è una raffinata commedia degli equivoci, dove protagonista è un provinciale abitudinario e prevedibile che vivrà una lunga serie di imprevisti. “Il pretore” è una disamina sugli appetiti insaziabili di un uomo e sul fascino del potere. E “Venga a prendere il caffè… da noi” è una memorabile summa di  vizi e  virtù della ricca provincia luinese, con la sua carica di apparenza, specchio della propria ipocrisia.

 

“La stanza del Vescovo” rappresenta invece uno spicchio d'Italia di sbalorditiva immoralità. E ne “Il Balordo” come il protagonista, siamo tutti uno, nessuno e centomila. 

 

Come dire, chi siamo davvero agli occhi degli altri? Dunque, il  bar, il luogo in cui ogni uomo almeno una volta è entrato, povero o ricco che sia, triste o felice, in quel luogo scoprendo gli altri, riscopre se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

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